martedì 4 giugno 2013

Come Sir James Matthew Barrie (o quasi)

Scrivere per i bambini è davvero divertente. Mi ritrovo sempre a sghignazzare da solo davanti al computer mentre invento e descrivo le scene più buffe. E poi è strano cercare di capire se al me stesso bambino certe cose sarebbero piaciute. Be', solitamente, la risposta è sì. Penso, per esempio, che mi sarei divertito molto a leggere un romanzo come quello che io e il sodale Francesco Matteuzzi abbiamo scritto alcuni mesi fa e che è uscito da un paio di settimane per DeAgostini Libri: Le nuove avventure di Peter Pan!


Come si può intuire dagli strilli in copertina, la storia è tratta da un episodio dell'omonima serie animata in onda già da tempo su DeA Kids. Con ampie modifiche, però, per permettere a chi l'ha già visto di goderne appieno, come se fosse una storia nuova.
Ecco, probabilmente tra i lettori di questo mio blog in pochi saranno interessati a questo libro... però io ne vado ugualmente orgoglioso. Semmai, regalatelo a figli, nipoti e cugini!

giovedì 16 maggio 2013

Fedele alla linea

Approfittando della Festa del cinema, sono andato a vedere il documentario di Germano Maccioni sul tanto discusso Giovanni Lindo Ferretti, leader e cantante dei CCCP e dei CSI, gruppi che hanno influito molto sulla mia formazione, musicale e non solo. Un uomo tanto apprezzato in passato ma che ultimamente mi è parecchio scaduto a causa delle sue dichiarazioni sull'aborto e su altri temi "etici" da militante della chiesa cattolica (e reazionario) quale sembra essere diventato.
Visto quanto le sue canzoni hanno significato per me, un'occasione ho voluta darla a questo Fedele alla linea. E devo ammettere di essere rimasto parecchio soddisfatto.


Innanzitutto perché si tratta di un documentario realizzato molto bene. Commovente, nel suo insieme. Bucolico, per la maggior parte del tempo. Sobrio, nella sua voglia di mettere in luce un uomo apparentemente contraddittorio e mai banale. E poi ho capito anche una cosa fondamentale. In mezzo a discorsi su cavalli, famiglia, musica e pastorizia, il tema della religione ha una forte coerenza. Si tratta pur sempre di convinzioni personali, spesso campate in aria, quasi sempre opinabili e a volte ingiustificabili, ma coerenti con il personaggio e con l'uomo (che in Ferretti coincidono fortemente). Insomma, se ne può discutere, ma quel "Fedeli alla linea" dei primi anni Ottanta sembra essere diventato il manifesto programmatico di tutta l'intera esistenza di quest'uomo, ed è stato giustamente adattato a titolo di questa semi-biografia. Non è detto poi che questo sia necessariamente un pregio, sia chiaro. Sto solo dicendo che ora mi sembra tutto più lineare.
Al di là di tutto, comunque, per quanto mi riguarda, in primo piano rimane pur sempre la musica. E quando, dopo pochi minuti, è partita In viaggio (tratta da Ko de mondo, uno degli album che più ho consumato in vita mia), mi sono fatto cogliere dalla pelle d'oca.


martedì 14 maggio 2013

Alla fine arriva... Berlusconi

Si dice che due indizi non facciano una prova. Tre, invece? Negli scorsi anni, Silvio Berlusconi, con le sue vicende di donne e festini, è diventato protagonista di battute in due popolari sit-com, Happy Endings e New Girl. Ne avevo già parlato rispettivamente qui e qui (se volete rivedere i video), e sottolineavo come il fatto che il nostro caro ex-Presidente del Consiglio sia entrato in questo modo a far parte della cultura popolare statunitense dovrebbe farci riflettere molto.
E' un po' come quando in Italia si scherzava sulle vicende di Bill Clinton e Monica Lewinsky... ma con proporzioni decisamente differenti, considerando le dimensioni del nostro Paese rispetto agli Stati Uniti (la cui gente, oltretutto, viene sempre accusata di essere molto poco a conoscenza di cosa c'è al di fuori dei propri confini nazionali).
La scorsa settimana si è aggiunto un terzo caso, quando una battuta su Berlusconi è andata in onda in un episodio di un'altra sit-com ormai particolarmente longeva, How I Met Your Mother. Ecco qui il video in questione, sottotitolato.


Direi che non c'è bisogno bisogno di aggiungere altro. Anzi, sì. Ovvero che da noi, invece, in televisione, viene trasmesso uno speciale che racconta il caso Ruby cercando di mettere in buona luce quel vecchio marpione. La satira non è gradita.
Ne approfitto, inoltre, per sottolineare come How I Met Your Mother sia la più importante sit-com degli ultimi dieci anni. Vera e unica erede di Friends, di cui ha preso l'idea di base e l'ha modernizzata, raccogliendo tutte le più importanti novità introdotte in seguito (in particolare da Scrubs), con un pizzico di nerdismo e un approccio post-moderno. E in più, tra i protagonisti, c'è quello che probabilmente è il miglior personaggio della storia recente della TV, ovvero Barney Stinson.


Insomma, come mi piace definirla spesso, HIMYM sta alle sit-com come Watchmen sta al fumetto americano (e questo paragone lo capiranno in pochi, probabilmente). Non lasciatevi ingannare dal brutto titolo italiano (Alla fine arriva mamma)!

giovedì 9 maggio 2013

Iron Man 3

Dopo diverse settimane di vuoto, ho una scusa per costringere a riprendere gli aggiornamenti di questo blog: ieri sera ho visto Iron Man 3! Un film che viene dopo un primo episodio ben riuscito e molto divertente e un  sequel molto meno riuscito anche se gradevole (e soprattutto dopo l'incredibile The Avengers). E questo terzo capitolo?


Be', diciamo subito che è un film fatto piuttosto bene, divertente, con buone scene d'azione, una sceneggiatura ben calibrata e ben recitata (Robert Downey Jr. non stupisce più, ma in questo caso al suo fianco ci sono anche gli ottimi Ben Kingsley e Guy Pierce). Un buon action movie, quindi.
Ecco, la questione è tutta qui: più che di un "classico" (ormai non si sfugge) film di supereroi, si tratta di un "semplice" action movie. E questo comporta diversi problemi. Innanzitutto, il vero protagonista del film è Tony Stark e non Iron Man (cioè l'eroe senza il super). La sceneggiatura, però, si concentra troppo sui meccanismi narrativi, cercando di sorprendere lo spettatore e di tenere in modo coerente le fila di tutto quanto il regista Shane Black e il suo staff ci hanno messo dentro, perdendo di vista i personaggi e riducendo il tutto a un semplice scontro tra "buoni" e "cattivi".


Difficile da spiegare bene senza spoilerare nulla, ma ci provo. Questa eccessiva attenzione per la trama  e i colpi di scena finisce per affliggere i personaggi in un modo ben preciso: li priva di miticità. Li rende quasi macchiette, in alcuni casi, azzerando l'epicità che un film con personaggi dotati di superpoteri secondo me dovrebbe avere e privando il film di momenti da pelle d'oca (a parte una scena all'inizio dello scontro finale, con l'arrivo di un vero e proprio esercito di Iron Man). Quasi come se mancasse l'amore per i personaggi e la loro storia (ecco, potrebbe sembrare una cosa molto nerd... ma in realtà si può dimostrare passione anche in modo equilibrato, come fatto per esempio da Christopher Nolan con la sua trilogia di Batman).


La risoluzione finale, inoltre, mi ha lasciato un po' interdetto. Un po' perché scontata, un po' perché eccessivamente sopra le righe.
Insomma, si sarà capito: non mi sono annoiato, ma sono rimasto un po' deluso da questo Iron Man 3 (e, prima che qualcuno lo pensi... sì, in fin dei conti il riassunto di tutto è "non mi piace perché è poco nerd").

P.S. Anche in questo caso la produzione ha piazzato una scena dopo i titoli di coda, ed è molto divertente, visto che riprende uno dei personaggi meglio riusciti dell'intera Phase One di film prodotti dai Marvel Studios.

mercoledì 27 febbraio 2013

Il volto dell'ingovernabilità

Si può discutere quanto si vuole del flop del PD e della sua cronica incapacità a raccogliere consensi. Si può insultare a non finire coloro che si ostinano a votare Silvio Berlusconi nonostante venti anni di nefandezze. Si può ponderare all'infinito sul ruolo del Movimento 5 Stelle e di Beppe Grillo per il presente e per il futuro. Però, è indubbio che l'ingovernabilità ha un solo volto. Quello qui sotto.


giovedì 14 febbraio 2013

Il ciclismo secondo Marco Pantani

Ogni anno, ormai, il 14 febbraio dedico un piccolo spazio a uno dei miei miti sportivi, quel Marco Pantani che è scomparso proprio in questa data del 2004. E quest'anno il ricordo del Pirata assume forse tutto un altro significato, visto il momento difficile che il ciclismo sta vivendo, tra gli scandali riguardanti icone passate dello sport come Lance Armstrong e Mario Cipollini. Perché, mentre gli altri hanno quasi distrutto il ciclismo, Pantani è finito per diventare vittima di questo sistema.


Si badi bene, non è mia intenzione affermare che Marco fosse pulito e che non imbrogliasse anche lui (anche se occorre specificare, visto che a volte sembra non essere proprio chiaro, che lui non è mai stato trovato positivo a un controllo antidoping). Era solo un ragazzo rassegnato all'andare delle cose, che non ha mai negato la realtà e non si è mai dimostrato arrogante riguardo alle questioni di doping con chi, dall'esterno, gli chiedeva in proposito. E che quasi sembrava cercare le vittorie non per gloria, soldi e fama come tutti gli altri, ma per dare sfogo alla propria sofferenza.
A questo punto, però, preferisco riportare un estratto scritto dal grande giornalista Gianni Mura per la prefazione al fondamentale libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani di Philippe Brunel.

"La diversità di Pantani era nella sua sensibilità, che esprimeva in una lingua non banale, quasi lirica (la "torrida tristezza" dell'ultimo messaggio), spesso spiazzante: «Vado forte in montagna per abbreviare la mia agonia».
Solo dopo la morte di Pantani mi sono reso conto che da professionista aveva vinto trentaquattro corse in tutto. Merckx ne vinceva di più in una stagione sola. Ma se Pantani è ancora ricordato e amato, è per come vinceva, non per quanto vinceva.
Vittorie quasi tutte in solitudine, quasi tutte senza un gesto di gioia sul traguardo, senza un sorriso per i fotografi e lo sponsor. Molti ciclisti sono stati abili nel mascherare la sofferenza (degli ultimi, Indurain e Armstrong) mentre Pantani la esibiva, la regalava, era parte fondamentale del rituale d'attacco.
Quasi mai dalla seconda o terza ruota, come consiglierebbe l'esperienza dei vecchi, ma dalla testa del gruppetto, che tutti vedessero. Mai di sorpresa, ma lanciando segnali: via il berrettino, via la bandana, una volta via perfino un orecchino prezioso, una ricerca di nudità agonistica.
Ma Merckx, per dire, era un atleta perfetto e quando pedalava sembrava di ascoltare la Cavalcata delle Valchirie. Pantani andava su di forza, sghembo, la testa pelata inquadrata dalle orecchie a sventola.
Sembrava un arrotino, un postino, un ragazzo che scappa su una bici non sua, e se musica sembrava di ascoltare era di fisarmonica, ma in un crescendo vertiginoso.
Pantastique, commentavano i francesi. Era un esperanto, Pantani, un linguaggio condiviso, qualcosa di remoto, di non ancora visto, un Godzilla proveniente da qualche abisso, da sotto la crosta terrestre."